CESARE PAVESE



Cesare Pavese, uno fra i principali scrittori italiani del Novecento, nasce il 9 settembre 1908 a Santo Stefano Belbo, paesino delle Langhe in provincia di Cuneo.

Il padre Eugenio, figlio della piccola borghesia terriera, era cancelliere presso il Palazzo di Giustizia di Torino, la madre, Consolina Mesturini proveniva da una ricca famiglia di commercianti di Ticineto.

Ben presto tutta la famiglia Pavese si trasferisce a Torino e quando Cesare aveva solo sei anni il padre muore a causa di una grave malattia. Tale episodio graverà molto sulla personalità del ragazzo, già di per sé scontroso e introverso.

Cesare, infatti, era un bimbo con attitudini diverse rispetto ai suoi coetanei: amava i libri e la natura, vedeva il contatto umano come il fumo negli occhi, preferendo lunghe passeggiate nei boschi in cui osservava farfalle e uccelli.

Dopo la morte del padre, è stata la madre ad educare i figli impartendo loro un’educazione alquanto rigorosa. Nei confronti del figlio Cesare comincia a manifestare freddezza e riserbo, attuando un sistema educativo più consono ad un padre “vecchio stampo” che a una madre prodiga di affetto, contribuendo ad accentuare il carattere introverso e instabile di Cesare.

Pavese compie gli studi liceali a Torino con Augusto Monti, collaboratore di Godetti, narratore, studioso di problemi della scuola: è il primo contatto con il mondo degli intellettuali.

Ma è durante gli anni dell’università che Pavese matura l’interesse per la letteratura americana. In quegli anni, intanto, alterna il lavoro di traduttore all’insegnamento della lingua inglese.

Si laurea con una tesi sulla poesia di Walt Whitman.

Nel 1931 Pavese perde la madre in un periodo già pieno di difficoltà; rimasto solo, si trasferisce nell’abitazione della sorella Maria, presso la quale resterà fino alla morte.

Intanto sempre nel 1931 viene stampata a Firenze la sua prima traduzione Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis.

Nel 1933 viene fondata la casa editrice Einaudi al cui progetto Pavese partecipa con entusiasmo per l’amicizia che lo lega a Giulio Einaudi: questi sono gli anni dei suoi momenti migliori con la donna dalla voce rauca, una intellettuale laureata in matematica e fortemente impegnata nella lotta antifascista. Cesare accetta di far giungere al proprio domicilio lettere fortemente compromettenti sul piano politico: scoperto, non fa il nome della donna e il 15 maggio 1935 viene condannato per sospetto antifascismo a tre anni di confino da scontare a Brancaleone Calabro. Tre anni che si ridurranno poi a meno di uno, per richiesta di grazia; torna infatti dal confino nel marzo del 1936, ma questo ritorno coincide con un’amara delusione, l’abbandono della donna e il matrimonio di lei con un altro. L’esperienza e la delusione giocano insieme per farlo sprofondare in una crisi grave e profonda, che per anni lo terrà avvinto alla tentazione dolorosa e sempre presente del suicidio.

Nel 1936, durante il suo confino, venne pubblicata la prima edizione della raccolta poetica  Lavorare stanca che, malgrado la forma fortemente innovativa, passò quasi inosservata.

Per guadagnarsi da vivere, dopo il confino, riprese il lavoro di traduttore e nel 1937 tradusse Un mucchio di quattrini (The Big Money) di Dos Passos per Mondadori e Uomini e topi di Steinbeck per Bompiani.

Dal 1º maggio accettò di collaborare, con un lavoro stabile e per lo stipendio di mille lire al mese, con la Einaudi, per le collane Narratori stranieri tradotti e Biblioteca di cultura storica, traducendo Fortune e sfortune della famosa Moll Flanders di Defoe e l’anno dopo La storia e le personali esperienze di David Copperfield di Dickens oltre all’Autobiografia di Alice Toklas della Stein.

Incominciò, intanto, a scrivere i racconti che verranno pubblicati postumi, in un primo momento nella raccolta Notte di festa e in seguito nel volume de I racconti.

Fra 1936 e il 1939 completò la stesura del suo primo romanzo breve tratto dall’esperienza del confino intitolato Il carcere.

Dal 3 giugno al 16 agosto scrisse Paesi tuoi che verrà pubblicato nel 1941 e sarà la prima opera di narrativa dello scrittore data alle stampe.

Nel 1940 l’Italia era entrata in guerra e Pavese era coinvolto in una nuova avventura sentimentale con una giovane universitaria, Fernanda Pivano alla quale dedicò alcune poesie, tra le quali Mattino, Estate e Notturno che inserì nella nuova edizione di Lavorare stanca.

Inoltre, in quell’anno scrisse La bella estate, che verrà pubblicato nel 1949 nel volume dal titolo omonimo che comprende Il diavolo sulle colline e Tra donne sole; tra il 1940 e il 1941 scrisse La spiaggia.

È il 1943 quando Pavese viene trasferito per motivi editoriali a Roma dove gli giunse la cartolina di precetto ma, a causa di una forma particolare di asma viene dispensato dalla leva militare e ritornò a Torino.

Dall’8 settembre 1943 alla Liberazione si rifugia prima presso la sorella, poi in un collegio dei padri Somaschi a Casale Monferrato, estraniato rispetto alle vicende del Paese, mentre molti suoi amici entrano nella Resistenza. Tale esperienza è narrata ne La casa in collina. Nell’opera è espressa la conflittualità tra la sua scelta e quella degli amici, molti dei quali in seguito a tale risoluzione sono morti. A guerra finita, e quasi per riscattare la scelta precedente, Pavese entra nel PCI.

Nel 1950, vince il Premio Strega con La bella estate e scrive il suo ultimo romanzo,  La luna e i falò.

La delusione amorosa per la fine del rapporto sentimentale con l’attrice americana Constance Dowling – cui dedica gli ultimi versi Verrà la morte ed avrà i tuoi occhi – ed il disagio esistenziale lo inducono al suicidio il 27 agosto del 1950, a Torino.

Em português, vale a pena ler Trabalhar cansa, edição bilíngue da Cosac Naify, com tradução de Maurício Santana Dias, de que extraímos os poemas abaixo: 





Lavorare stanca
 
Traversare una strada per scappare di casa
lo fa solo un ragazzo, mas quest'uomo che gira
tutto il giorno le strade, non è piú un ragazzo
e non scappa di casa.
Ci sono d'estate
pomeriggi che fino le piazze son vuote, distese
sotto il sole che sta per calare, e quest'uomo, che giunge
per un viale d'inutili piante, si ferma.
Val la pena esser solo, per essere sempre piú solo?
Solamente girarle, le piazze e le strade
sono vuote. Bisogna fermare una donna
e parlarle e deciderla a vivere insieme.
Altrimenti, uno parla da solo. È per questo che a volte
c'è lo sbronzo notturno che attacca discorsi
e racconta i progetti di tutta la vita.
Non è certo attendendo nella piazza deserta
che s'incontra qualcuno, ma chi gira le strade
si sofferma ogni tanto. Se fossero in due,
anche andando per strada, la casa sarebbe
dove c'è quella donna e varrebbe la pena.
Nella notte la piazza ritorna deserta
e quest'uomo, che passa, non vede le case
tra le inutili luci, non leva piú gli occhi:
sente solo il selciato, che han fatto altri uomini
dalle mani indurite, como sono le sue.
Non è giusto restare sulla piazza deserta.
Ci sarà certamente quella donna per strada
che, pregata, vorrebbe dar mano alla casa.


Trabalhar cansa
 
Travessar uma rua fugindo de casa
só um menino o faria, mas este homem que passa
todo o dia nas ruas não é mais menino
e não foge de casa.
Em pleno verão,
até as praças se tornam vazias de tarde, deitadas
sob o sol que começa a cair, e este homem que chega
por um parque de plantas inúteis detém-se.
Vale a pena ser só para estar cada vez mais sozinho?
Simplesmente vagar, pois as praças e ruas
estão ermas. Forçoso é abordar uma mulher
e falar-lhe e fazê-la viver com você.
Do contrário, se fala sozinho. É por isso que às vezes
algum bêbado à noite dispara discursos
e repassa os projetos de toda sua vida.
Certamente não é esperando na praça deserta
que se encontram pessoas, mas quem anda nas ruas
se detém vez ou outra. Estivessem a dois
mesmo andando na rua, sua casa estaria
onde está a mulher. Valeria a pena.
Mas de noite essa praça retorna ao vazio
e este homem que passa não vê as fachadas
entre luzes inúteis nem ergue seus olhos:
sente só o ladrilho que outros homens fizeram
com mãos secas e duras, assim como as suas.
Não é justo deixar-se na praça deserta.
Com certeza há de andar pela rua a mulher
que, chamada, viria ajudar com a casa.









NOTTURNO

La collina è notturna, nel cielo chiaro.
Vi s’inquadra il tuo capo, che muove appena
e accompagna quel cielo. Sei come una nube
intravista fra i rami. Ti ride negli occhi
la stranezza di un cielo che non è il tuo.
La collina di terra e di foglie chiude
con la massa nera il tuo vivo guardare,
la tua bocca ha la piega di un dolce incavo
tra le coste lontane. Sembri giocare
alla grande collina e al chiarore del cielo:
per piacermi ripeti lo sfondo antico
e lo rendi piú puro.
 Ma vivi altrove.
Il tuo tenero sangue si è fatto altrove.
Le parole che dici non hanno riscontro
con la scabra tristezza di questo cielo.
Tu non sei che una nube dolcissima, bianca
impigliata una notte fra i rami antichi.

19 DE OUTUBRO DE 1940


NOTURNO

A colina é noturna no claro céu.
Ela enquadra tua testa que mal se mexe
e acompanha esse céu. Tu pareces a nuvem
entrevista entre os ramos. Sorri em teus olhos
a estranheza de um céu que não é o teu.
A colina de terras e folhas encerra
com a massa escura a tua viva mirada,
a tua boca tem dobras de um doce entalhe
entre as costas longínquas. Pareces brincar
com a grande colina e a clareza do céu:
reconstróis para mim o cenário antigo
e o convertes mais puro.
Mas vives distante.
O teu cálido sangue se fez na distância.
As palavras que dizes não se correspondem
com a dura tristeza estampada no céu.
És apenas a nuvem docíssima, branca,
enredada uma noite entre ramos antigos.


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Verrà la morte e avrà i tuoi occhi

Verrà la morte e avrà i tuoi occhi-
questa morte che ci accompagna
dal mattino alla sera , insonne,
sorda , come un vecchio rimorso
o un vizio assurdo .
I tuoi occhi saranno una vana parola,
un grido taciuto, un silenzio .
Così li vedi ogni mattina
quando su te sola ti pieghi
nello specchio.
O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla
Per tutti la morte ha uno sguardo.
Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.
Sarà come smettere un vizio,
come vedere nello specchio
riemergere un viso morto,
come ascoltare un labbro chiuso.
Scenderemo nel gorgo muti.

Virá a morte e levará teus olhos

Virá a morte e levará os teus olhos-
esta morte que nos acompanha
de manhã à noite, insone,
surda, como um velho remorso
ou um vício absurdo.

Os teus olhos serão uma palavra vã,
um grito silencioso, um silêncio.
Então, cada manhã,
quando te inclinas sozinha o vê
no espelho.

Ó querida esperança
naquele dia, saberemos também nós
que és a vida e o nada
porque como a todos a morte te aguarda.

A morte virá e levará os teus olhos.
Será como largar um vício,
como ver no espelho
ressurgir um rosto morto
como escutar uns lábios fechados.
Desceremos no turbilhão, mudos. 

Comentários

  1. Impressionante. Muito bom. Depois eu leio e releio com mais tempo.

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  2. Bellissimo post su Cesare Pavese e bellissimo blog, complimenti Jose' Antonio Cavalcanti!
    Antonio Monaco

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  3. E' un piacere averti visitato e aver avuto la possibilità di rileggere Pavese che amo, specialmente "Verrà la morte e avrà i tuoi occhi.." ci rivedremo sicuramente. Un caro saluto

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  4. Caro Cavalcanti

    Gostei do blogue e da publicação sobre Cesare Pavese. Continue o seu trabalho importante de divulgação sobre os poetas e a poesia.

    (Deixo-lhe um soneto à Primavera Alentejana)

    MANHÃ PRIMAVERIL

    Primavera linda, ó mar de flores,
    em tapete de mil cores convertida...
    De campos sem fim, eternos amores,
    Luz dos meus olhos aqui aparecida>!

    Para te cantar, de forma majestosa,
    Em todos os lugares onde floresces:-
    Primavera renascida, a mais ditosa,
    Luz do meu olhar quando amanheces!

    Soubera eu escrever este soneto
    Suave e doce, num breve instante...
    Uma palavra para tão belo momento!

    Celebrar uma Primavera fulgurante
    Onde o poeta transmita sentimento...
    Como quem se anuncia deslumbrante!

    Matias José

    Saudações cordiais do Alandroal (Alto Alentejo - Portugal),

    Carlos Camões Galhardas

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